Sensazione Solitudine

Il covid, la pandemia e le scelte di chi ha potuto, a ragione o meno, decidere cosa fare delle nostre vite ci hanno tolto qualcosa.

Ne parlano gli psico-così continuamente, ma anche le donne dal parrucchiere ed i vecchietti in fila alla posta: siamo più soli.

Non sono una complottista, non penso che questo atteggiamento politico-istituzionale sia una manovra, di qualsivoglia genere, per cambiare il nostro modo di vivere, di essere prodotti, persone, pedine di un sistema. Sono largamente convinta però che la competenza sia un requisito troppo marginale nella nostra società e che quindi non tutte le decisioni siano prese con cognizione di causa.

Sono assolutamente convinta che non ci sia alcuna ragione ammissibile, né scientifica né tecnica, che possa giustificare che io da domani potrò andare dal parrucchiere ma non in qualsiasi altro posto.

Personalmente avrei più bisogno di un caffè al bancone del bar che di una messa in piega. 

Non posso neanche pensare che mandarmi dal parrucchiere sia un palliativo psicologico, e dubito fortemente che a qualcuno stia davvero interessando dell’equilibrio psicologico delle persone.

Il 2020 è stato un anno difficile, per tutti, ma il 2021 che doveva essere la grande promessa ci sta girando le spalle da subito, ed ovviamente era prevedibile. Un numero sul calendario non risolve una pandemia globale.

Allora di cosa sto parlando?

Parlo della solitudine.

O forse è semplicemente la solitudine che mi porta a scrivere. Parlo di quel sentimento che mi attanaglia sempre più frequentemente, che mi attanaglia ma non mi appartiene.

Non ricordo più l’ultima volta in cui ho visto mio fratello.

Non ricordo più l’ultima volta in cui ho abbracciato la mia migliore amica.

Non ricordo più l’ultima volta in cui ho stretto la mano ad un cliente.

Non ricordo più l’ultima volta in cui ho respirato a pieni polmoni l’aria della mia città senza una mascherina in faccia.

Viviamo in questa bolla praticamente da 1 anno.

Scrivo perché, come tanti, mi sento sola, sola in mezzo a tutto. Sola perché non posso scegliere di abbracciare chi vorrei nel momento in cui vorrei. Sola perché mi sento in balia delle scelte di altri, perché sento di aver perso un anno delle mia vita, un anno prezioso ed al quale avevo delegato tanto.

Vivo in Lombardia, la nuovamente rossa Lombardia, dal 1 luglio 2013, la frequento quotidianamente dal 2011, non proprio un giorno. Eppure qui oggi mi sento sola. Sono parte del tessuto sociale e produttivo della mia città. Qui c’è la mia famiglia, quella che ho scelto di costruirmi, la mia azienda, la mia vita, eppure mai prima d’ora mi era successo di voler così fortemente prendere un treno od un aereo e fuggire da qui, andare ovunque, o semplicemente dove ci sono delle persone che vorrei abbracciare, e poterlo fare.

Cominciamo ad invidiare le “Regioni gialle”, è così assurdo… Ambire a diventare gialli.

Se questa pandemia fosse un romanzo ci sarebbe quantomeno il lieto fine, ma io non lo sto leggendo. Vorrei poter contribuire a scriverlo ma ecco che esce fuori un’altra cosa che ci ha regalato questa “esperienza”: il senso di impotenza.

Questo capitolo della storia mondiale ci lascerà qualcosa: un piccolo passo avanti nel mondo della digitalizzazione, una finta conoscenza su problematiche che non siamo davvero in grado di capire, dei teatrini politici di cui avremmo fatto volentieri a meno e poi… e poi ci lascerà questo bisogno incompiuto di abbracciare, di dare un bacio, di fare una carezza, di parlare con qualcuno.

Mi chiedo se, dal giorno dopo tutto questo, saremo capaci di tornare ad essere gli animali sociali che siamo stati.

 

Pensieri irrisolti ed incompiuti sulla soglia del ritorno in zona rossa…

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